SMART WORKING

06 Novembre 2020

Da quando è iniziata la pandemia targata “Covid-19” lo smart working è diventato l’argomento di tendenza delle principali testate giornalistiche, finanziarie ed economiche.

Perché?

Conosciuto con il termine giuridico “lavoro agile”, lo smart working in realtà viene riconosciuto dal legislatore già dal 2017 e disciplinato dalla legge 81, che regolamenta il rapporto giuridico tra lavoratore e datore di lavoro. Lodato dagli accademici e incentivato dal governo per consentire una continuità lavorativa in tempo di crisi da Covid-19, lo smart working rappresenta ad oggi un fenomeno in continua crescita.

Ma che cosa si intende con il termine “smart working”?

L’Osservatorio del Politecnico di Milano, che monitora tale fenomeno da parecchi anni, definisce lo smart working come : “Una nuova filosofia manageriale fondata sulla restituzione alle persone di flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti da utilizzare a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati”.

Con l’avvento della pandemia da Covid-19, il termine smart working è stato erroneamente attribuito al “lavoro da casa”, fuorviandone così il significato. La corretta interpretazione del termine prevederebbe un certo grado di flessibilità lavorativa, tale da consentire dei giorni di lavoro svolti in sede diversa dall’ufficio, concordati tra le parti.

Numerosi sono i vantaggi che può offrire questa rivoluzionaria modalità lavorativa, basti pensare al comprovato aumento della produttività, all’abbattimento dei costi sia per le aziende che per il lavoratore, all’inclusione e responsabilizzazione del dipendente e, infine, dei benefici per la collettività, come, ad esempio, la riduzione dell’inquinamento, del traffico e del tempo necessario al raggiungimento del luogo di lavoro.

In uno studio condotto nel 2015, l’Università di Stanford, ha scoperto, osservando l’esperimento della agenzia di viaggi cinese Ctrip (40k dipendenti) sull’implementazione dello smart working, che la produttività della società è aumentata del 13%. Se questo studio dimostra, da un lato, il beneficio che ha l’impresa nell’implementare il lavoro agile, dall’altro, non tiene in considerazione che il flusso delle informazioni tra i dipendenti viene drasticamente ridotto.

Secondo gli studiosi del “knowledge management” il vero vantaggio competitivo di un’impresa risiede nella trasmissione del flusso di informazioni da dipendente a dipendente. Lo smart working, in questo senso, potrebbe attenuare questo aspetto, compromettendo o rallentando tale processo e l’affiorare di nuove idee. Anche se recentemente si tessono continuamente le lodi di questo nuovo fenomeno, non ci si può dimenticare che le aziende sono fatte da e con le persone e, di conseguenza, dalle relazioni sociali. Prendere un caffè con i colleghi e potersi confrontare in tempo reale favorisce il flusso di informazioni, che, difficilmente, passerebbero attraverso il freddo schermo di un computer.

Per quanto lo smart working possa favorire, in tempo di crisi, un supporto all’attività lavorativa, non può essere considerato una soluzione a lungo termine. I rapporti umani, lo scambio di informazioni e la nascita di nuove e innovative idee potrebbero essere stroncati da una modalità lavorativa che, seppure all’avanguardia, tralascia aspetti sociali e umani che sono imprescindibili per fare squadra e vincere quotidianamente le sfide alle quali l’azienda è sottoposta.

 Ad eccezione dei professionisti che lavorano in proprio, quali avvocati, scrittori, o commercialisti, diventa difficile pensare di poter usare lo smart working come soluzione definitiva.

Alessandra Russo